top of page

Erika Lacava

Silenzio. Le opere di Fabio Presti sembrano immerse nel silenzio. Persone, cani, meduse, sono i soggetti dei lavori degli ultimi anni. Tutti galleggianti in uno spazio ampio, lattiginoso, che lascia attorno un vuoto per guardarsi intorno, in una prospettiva che ci offre la visione dei loro corpi soli.

Sono corpi sospesi, a volte dotati di un’ombra piccola, slabbrata, slavata, a volte colorata di un colore differente rispetto alle figure. L’ombra che si fa astratta, irreale, corpo e presenza a sé, sola compagnia in uno scenario grande, troppo grande per queste figure disperse nel niente.

Musicista per diversi anni, di un rock sperimentale, Fabio Presti, classe 1973, è arrivato alla pittura in modo silenzioso, lasciando fuori dal quadro i rumori, il frastuono, ogni fonte di disturbo per lo svelarsi del soggetto. Questo viene trattato con delicatezza estrema, con distanza ponderata, che lo mette al riparo da invadenze. Insieme all’artista, in silenzio, possiamo accostarci al soggetto lasciandolo libero di esprimersi nella sua naturalezza, senza giudicare, senza invaderne il campo, lasciandogli il terreno giusto per muoversi e prendere consapevolezza di sé e dello spazio che occupa.

“Sporco candore” è il titolo di una serie di lavori che Presti inaugura nel 2010, che ci conduce, nella sua maturità, direttamente nel cuore della poetica visiva. È una serie forte, in cui degli adolescenti, uno per quadro, sfoggiano pistole, mitra giocattolo, come ragazzini in una guerra virtuale contro un nemico invisibile, direttamente a confronto con il gioco più vero, reale, dei coetanei bambini soldato. Lo sporco candore dell’innocenza che poggia su tele graffiate, con strati spessi e materici sovrapposti a una tela originariamente pura.

I colori usati da Presti per gli sfondi sono in prevalenza bianchi sporchi, grigi, rossi color terra: colori naturali, ruggini grattate dai cancelli, gessi, colle, polveri di marmo. L’artista respira l’aria nella sua matericità e raccoglie nei luoghi in cui cammina i materiali che serviranno ad arricchire le tele. “È importante dare nuova possibilità alle cose”, dice Fabio Presti: “la ruggine è una velatura che si forma su qualcosa di dimenticato”. Lavora quindi di velature, strato per strato, andando a cercare, sulle superfici dimenticate, la traccia del tempo per dargli il giusto valore. I supporti si fanno così pesanti, irregolari, vengono aggrediti in modo quasi rabbioso, con differenti mani gettate una sull’altra e ricoperte a chiazze da quelle successive. Su questi ammassi grevi si deposita, delicatamente, come proveniente da un’altra dimensione, il soggetto del quadro.

Ci sono dei punti costanti nel lavoro di Presti dal 2006 ad oggi. Un lavoro che è cresciuto molto in maturità e convinzione, che ha esplorato diversi temi percorrendoli da differenti angolature fino a esaurirne il contenuto.

 

La sua ricerca inizia dagli alberi, figure piccole, distanti, poste al centro della tela. Qui si inizia a percepire il respiro dei lavori successivi. Seguono i tralicci della luce, in un progetto dal titolo “Discretamente nella nostra incuranza”: grandi ingombri sulla tela, che viene fortemente segnata e lavorata, in cui svettano presenze che quotidianamente non percepiamo. In queste due serie appaiono in nuce gli elementi fondanti del lavoro di Fabio Presti: l’attenzione alle piccole cose, il caricarle di valenze significanti ancor prima che estetiche, e il restituircele nella loro nudità, senza orpelli o accompagnamenti, solo e soli per quel che sono. Si libera la scena e si fa spazio al soggetto del quadro, nella sua eleganza ed essenzialità.

Dopo gli elementi naturali e artificiali, nel 2009 appaiono le prime figure umane, che mantengono la sostanziale leggerezza degli alberi soli. Cambia la prospettiva di osservazione: non più dal basso come nei tralicci della luce, che sembrano sovrastarci, non più frontale come negli alberi, che sembrano affiancarci, ma dall’alto, come se il punto di osservazione fosse ora posto in un luogo altro, superiore, a sottolineare la piccolezza umana. Compaiono le date. Numeri impressi sui volti dei personaggi come lo sono le date importanti nella nostra memoria, quelle in cui abbiamo compiuto una scelta, segnato il destino. Una memoria che così, da privata, si fa pubblica, diventando caratteristica essenziale del personaggio, determinandone l’identità, stagliandoglisi sul volto in modo indelebile. Ed emblematicamente le date sono stampate sui volti all’altezza degli occhi, in modo che le figure, prima sagome ritagliate senza lineamenti precisi, anonime, universali, possano accogliere uno sguardo, un’espressione, caratterizzati e individualizzati dalla loro “epifania”.

 

Con la serie “Solo cane” del 2011, in cu l’iniziale del nome è impressa, come una medaglietta, sull’animale stesso, torna lo sguardo in linea retta, alla stessa altezza dell’osservatore, a sottolinearne la vicinanza ideale. Come nella serie “Appodi”, politicamente incentrata sugli sbarchi di immigrati a Lampedusa, identificati nelle meduse che vagano al largo e sbarcano, urticanti, su una spiaggia.

 

Lo stesso sguardo orizzontale lo troviamo negli ultimi lavori di Fabio Presti, “Tutta la memoria del mondo”, del 2015, in cui la balena, nella sua longevità, diventa simbolo della memoria: un monito, un richiamo alle nostre responsabilità, per quello che è avvenuto socialmente e individualmente, che non dovrà più accadere.

 

Si delinea un percorso chiaro e una scelta specifica nell’uso della prospettiva in Fabio Presti. Il punto di osservazione, la distanza, sono determinanti nel capire il suo rapporto con il soggetto rappresentato. Gli orizzonti e le linee di base di altri colori, quasi sempre presenti nei suoi lavori, sottolineano da un lato il radicamento del personaggio alla terra, dall’altro la sua prospettiva altra, il suo sguardo oltre, più o meno ampio, in cui si staglia il radicamento, pur nella leggerezza delle figure, al più ampio terreno d’appoggio.

Erika Lacava - Testo tratto dall'articolo su "Not only magazine" - "Fabio Presti: l'eleganza ha i tratti essenziali"

 

bottom of page