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discretamente nella nostra incuranza

La quiete, la rudezza, l’armonia, l’immobilità, la leggerezza, la pesantezza e l’apparente neutralità sono componenti che descrivono i nuovi  lavori di Fabio Presti. Tralicci, Giganti sospesi tra cielo e terra, tecnologia e natura, affascinanti tra nebbie e cieli pieni d’acqua e di neve. La loro presenza silenziosa sembra non avere apparentemente nessuno scopo, ma proprio questa totale indifferenza, questa immobile stabilità, ci porta all’essere umano che esiste in un’apparente neutralità.

Presti parla di persone attraverso cose apparentemente insignificanti e astratte.                                                                                                

Le strutture dipinte, con la loro immobile accessibilità, si rifanno a emozioni remote e familiari. L’artista gioca, abbandonando la naturale poesia di un albero, utilizzando immagini che si discostano completamente dalla natura e dall’ambiente degli affetti, raffigurando il materiale ferroso ed arrugginito, invece di proseguire ad applicarlo alla tela.

Elaborando graficamente il concetto tracciato nella serie precedente, queste nuove opere continuano a celare antichi echi emozionali, accettandone tuttavia il passaggio. La distanza tra il concetto e l’oggetto, l’emozionalità volutamente taciuta, nascosta e non diretta, è il risultato del messaggio che Presti attribuisce a questa fase del suo lavoro, che si muove nel contesto dei ricordi dell’infanzia e dei souvenir che la memoria gli regala.                                                                                                                                 

I paesaggi urbani raffigurati ci appaiono così immediati, riconoscibili e familiari, tanto da essere percepiti come presenze nella nostra quotidianità e proprio per questo ci risultano ormai indifferenti. L’indifferenza per la quotidianità delle immagini provoca  apatia e, al tempo stesso, noncuranza.

L’artista denuncia l’umana disabitudine a scoprire la bellezza di un niente o a scorgerne la disarmonia, poiché l’umanità veloce non è  più capace di soffermarsi sulle cose, su se stessa.

Ci troviamo disinteressati, disincantati e neutrali nei confronti delle immagini, che non ci arricchiscono, che non si mostrano singolari ai nostri occhi. Malgrado ciò, ne siamo fatalmente coinvolti emotivamente, perché scopriamo che le forme ritratte ci appartengono, sono le nostre immagini, la nostra indifferenza, la nostra incuranza. Si viene pervasi da un lieve senso di malinconia, forse utile per concedersi attimi privati di riflessione, di conoscenza e di stupore su noi stessi.

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